martedì 14 aprile 2015

L'amore in convento di Filippo Lippi



L’amore in convento di Filippo Lippi






"E con questa occasione (del dipinto) innamoratosi maggiormente, fece poi tanto per via di mezzi e di pratiche, che egli sviò la Lucrezia dalle monache, e la menò via il giorno appunto ch'ella andava a veder mostrare la cintola di Nostra Donna, onorata reliquia di quel castello"  (Vita di fra' Filippo Lippi di Giorgio Vasari)






Indossa un vestito bianco, leggero, che avvolge il corpo giovane e attraente, intento a volteggiare su un pavimento a intarsio. È la bellissima Salomè danzante diFilippo Lippi de Il convito di Erode in cui molti, fra cuiGabriele D' Annunzio, hanno ritrovato la misteriosa e leggiadra Lucrezia Buti, monaca e grande amore del pittore fiorentino. "A legare i due c'erano passione, fughe, scandali e bellissimi dipinti" esordisce Claudio Cerretelli, direttore dei Musei diocesani di Prato ed esperto di Lippi. 







Paul Delaroche, Filippo Lippi e Lucrezia Buti, 1822







La vita di Fra' Filippo è sempre stata costellata di intemperanze e turbolenze, come raccontava Cosimo il Vecchio che, per costringerlo a terminare un quadro, lo aveva addirittura rinchiuso in una torre. "Peccato che Filippo si fosse calato giù, per scappare, con una corda di lenzuoli annodati" racconta Cerretelli, sorridendo. "La vita di Filippo è stata sempre burrascosa" ammette. "Era nato fra via dei Serragli e il Convento del Carmine, nella contrada Ardiglione, a Firenze, nel 1406







Filippo Lippi (1406-1469)







A due anni restò orfano di padre, e fu allevato fra gli stenti dalla zia paterna che a otto lo mandò dai frati carmelitani del vicino Convento del Carmine, dove Filippo venne accolto e prese i voti nel 1421, quattordicenne" spiega. Ma la passione del Lippi era una sola: la pittura. Non era particolarmente portato per lo studio, ma era una vera spugna artistica e assorbiva tutto quello che avveniva intorno a lui. Si tende addirittura a pensare che abbia appreso l' arte degli affreschi osservando Masaccio e Masolino a lavoro sulla Cappella Brancacci" aggiunge Cerretelli. 







Filippo Lippi - Il banchetto di erode - Dettaglio di Lucrezia Buti monaca compagna di Filippo







Alla passione corrisponde anche un grande talento. Il giovane Fra' Filippo inizia a farsi conoscere e nel 1952, quando viene inviato a Prato come Cappellano di Santa Margherita, è già un pittore molto celebre. Proprio a Prato, Lippi incontra per la prima volta la bellissima Lucrezia che, sedicenne, era stata mandata con la sorella Spinetta nel monastero agostiniano di Santa Margherita. "Il padre di Lucrezia era morto e il fratello, rimasto a capo di una famiglia di undici persone, aveva preferito la strada più breve: quella del convento" chiarisce Cerretelli. I due si incontrarono fra le mura del monastero e la leggenda, riportata anche dal Vasari, vuole che Fra' Filippo rimanga folgorato dalla giovane e convinca le monache a lasciarla posare per la pala commissionata da suor Bartolommea dei Bovacchiesi, all' epoca Badessa del Convento







Filippo Lippi - Autoritratto - 1439







"Nella Madonna della Cintola in molti hanno provato a riconoscere in Maria, per cui Lucrezia aveva posato, l' avvenente giovane. Ma il profilo della Buti, che poi venne ripreso nella Lippina, adesso conservata agli Uffizi, è più simile a quello di Santa Margherita" commenta Cerretelli. La Santa è bellissima, bionda ed elegante; sembra dipinta da un uomo innamorato. La scintilla fra i due deve essere stata travolgente perché Lippi, testardo e determinato come da ragazzo, riuscì ascappar via con la giovane approfittando di una festa religiosa. "Era il 1457 e Lucrezia, con le altre suore, sarebbe dovuta uscire dal convento per andare ad assistere all' ostensione della Sacra Cintola. Invece, scappò dal convento e andò a vivere con Lippi" ricorda Cerretelli. 








Filippo Lippi - Madonna col Bambino e due angeli - Ritratto di Lucrezia Buti







Il periodo idilliaco fra il frate pittore e la sua bella monaca modella durò molto poco: quando Spinetta e altre tre consorelle scappano dal convento per andare a vivere con loro, lo scandalo fu fortissimo. "Subito tornarono in convento, solo Lucrezia rimase, ma l' amore era stato consumato. Lucrezia era incinta" svela Cerretelli. La situazione si fa sempre più critica. Prato insorge a questo amore scandaloso e clandestino. "A salvare le cose ci pensò Cosimo il Vecchio. Ottenne da Pio II che il frate e la monaca fossero sciolti dai voti, ma non cambiò niente. I due non si sposarono mai e, quando morì, Lippi era ancora un frate carmelitano" conclude, con una nota d' amarezza, Cerretelli. Che lui non l' abbia mai voluta sposare, come sostengono alcuni, è solo una congettura. Quello che successe veramente è impossibile saperlo. Lucrezia uscì ed entrò nel convento, prigioniera della povertà e della sua monacanza forzata, per ben due volte. Come due furono i figli che diede a Filippo, una femmina e un maschio, il grande pittore rinascimentale Filippino







Amore o Dovere - Gabrielé Castagnola, 1828-1883, tela 1873







A ritrarre forse il punto massimo di questo amore resta il volto misterioso di una bellezza eterea che da quasi cinquecento anni danza alla corte di Erode e sorride del suo inespugnabile mistero.

La Madonna della cintola
La storia di Lucrezia e Filippo, che ai suoi tempi aveva fatto molto scalpore, ci è nota attraverso il Vasari: frate Filippo Lippi conobbe Lucrezia, monaca nel monastero di Santa Caterina di Prato, nel 1456, quando stava lavorando alla tavola della Madonna che dà la Cintola a san Tommaso, e ne rimase subito folgorato. Pretese ed ottenne dalle monache di averla come modella per il dipinto, in cui probabilmente Lucrezia prestò il suo volto alla Santa Margherita che si vede a sinistra. Filippo, del tutto incurante della loro condizione di religiosi, la rapì in occasione della processione della Sacra Cintola, come ricorda il Vasari: "E con questa occasione (del dipinto) innamoratosi maggiormente, fece poi tanto per via di mezzi e di pratiche, che egli sviò la Lucrezia dalle monache, e la menò via il giorno appunto ch'ella andava a veder mostrare la cintola di Nostra Donna, onorata reliquia di quel castello"








Filippino Lippi (1457-1504)








Il fascino della leggenda
Dalla loro unione nacque Filippino Lippi nel 1457 e nel 1465 la figlia Alessandra Lippi. La coppia scandalosa, grazie all'interessamento di Cosimo il Vecchio de' Medici, ottenne una dispensa dai voti da Pio II per potersi sposare, ma, come riporta Vasari, i due continuarono a convivere more uxorio, aumentando lo scandalo.
L'eco di questa storia fu così vasta che se ne trova traccia non solo nella novella LVIII della raccolta del Bandello, ma anche nel poemetto Fra' Filippo Lippi del poeta romantico Robert Browning e in almeno due opere di Gabriele D'Annunzio. La bellissima Lucrezia, ritratta nella celebre Lippina degli Uffizi e probabilmente, come si diceva sopra, nella Salomè affrescata da Lippinell'abside centrale della Cattedrale di S. Stefano a Prato, produsse un'impressione così profonda sullasensibilità esasperata del poeta, che egli espresse il desiderio di essere il secondo amante della splendida monaca e ne cantò il fascino anche nell'Elettra








Fra Filippo Lippi - Lippina







E ancora
Ogni periodo storico ha i suoi scandali. Andare contro corrente è una pratica che l'uomo in genere preferisce evitare per non incorrere nelle punizioni che la società infligge a chi fa di testa sua, tuttavia per le personalità più temerarie non pestare i piedi alle volte è proprio impossibile.
Nelle biografie degli artisti vi sono parecchi scandali, ma quello del pittore fiorentino Filippo Lippi, colpisce in modo particolare. Egli ebbe un'infanzia difficile; la madre morì di parto e a  due anni, venne affidato ad una zia paterna; ad otto anni fu messo presso i frati carmelitani trovandosi inseguito a prendere i voti a soli 15 anni. Una scelta sicuramente non personale datosi che le azioni compiute da lui dopo, lo fecero descrivere dal Vasari come un uomo scapestrato. E' evidente che la vita impostagli da un destino non clemente, gli divenne sempre più pesante da sopportare nel corso degli anni. Si dice che non rinunciò mai ai piaceri della carne, nonostante l'abito carmelitano indossato, ma a destare più scalpore nella sua condotta, fu un fatto di cui si parlò a lungo in quanto svergognò un intero gruppo di monache per l'avergli concesso la loro fiducia. 







Lippi - Madonna della cintola - Prato








Nel 1446 a cinquant'anni, fra Filippo fu nominato cappellano del convento pratese di Santa Margherita e servendogli una modella per un dipinto, scelse all'interno dell'edificio religioso con l'approvazione delle sorelle, una graziosa monaca  di nome Lucrezia Buti.Nacque una storia d'amore e la fanciulla compiacente, fu rapita dal Lippi che la portò a vivere a casa sua nel più completo disonore. Fu solo grazie all'intervento di Cosimo dè Medici estimatore dell'artista, che i due amanti riuscirono a far sciogliere dal papa Pio II, i loro voti di fedeltà alla Chiesa. 

Già  nel Quattrocento il talento artistico aveva iniziato a essere considerato un dono divino e perciò alla fine,Filippo Lippi fu perdonato dalla sua società che continuò a commissionargli opere pittoriche. Tuttavia lo scapestrato ex-monaco non mise comunque la testa a posto e per il resto della vita, non pensò mai di sposarsi con Lucrezia, seppure ella gli diede anche due figli, di cui uno divenne pittore con il nome di Filippino Lippi.




Filippo Lippi - Il banchetto di erode

sabato 4 aprile 2015

ll bacio tra Lancillotto e Ginevra che travolse il regno del nobile Artù (2)






ll bacio tra Lancillotto e Ginevra che travolse il regno del nobile Artù  (2)


Così candido e inesperto nella tenzone d' amore giunge al giorno in cui, nel torneo di Galore, nel quale si giocano le sorti del regno, insidiato dalla temibile armata di Galeotto, tutto vestito di armi nere, circondato da un' aura di mistero, apparirà alla presenza del re e della regina, sul campo di battaglia, a infrangere scudi, spezzare lance, squarciare corazze e giachi d' acciaio, e volgere le sorti a favore di Artù. Catturata da tanta prodezza, Ginevra vuole conoscere quel cavaliere la cui fama ha già riempito le corti della cristianità. È il giorno fatale. 







Accompagnato da Galeotto che, conquistato dalla sua valentia, da nemico del re si è trasformato in vassallo, Lancillotto incontra Ginevra nel prato degli Arboscelli. È il momento tanto atteso: trepidanti i due amanti alla fine si riconoscono, ricordano quel primo fugace incontro, il tocco di quella mano, e dopo brevi schermaglie, si scambiano parole d' amore e di dedizione reciproca. «Mi amate dunque tanto?» «Signora, non amo me stesso né altri quanto amo voi». Ma perché quell' incontro abbia il suo naturale suggello sarà necessario l' intervento mediatore di Galeotto che conosce la timidezza dell' amico. È lui che suggerisce alla regina di prendere l' iniziativa. E allora Ginevra, trasportata da uno dei suoi irrefrenabili slanci, prende fra le mani il volto, che trascolora, del giovane cavaliere, e lo bacia sulla bocca appassionatamente. Quel bacio diventerà il punto di riferimento di tutta la poesia cortese, con cui menestrelli e trovatori allieteranno corti e castelli, e dal quale, per secoli, poeti trarranno ispirazione per i loro poemi. Fin quando sul desolato paesaggio della Mancia apparirà, seguita dal suo goffo scudiero, l' ombra allampanata del Cavaliere dalla Triste figura. 







Per lungo tempo quel bacio sarà il solo dono che Ginevra concede a Lancillotto, combattuta fra la fedeltà ad Artù e la passione che monta in lei e alla fine la travolge quando, dopo un' ultima impresa del cavaliere, lo invita nel suo alloggio per «curarlo delle sue ferite» e si concederà a lui, in una notte d' amore in cui alla fine dopo tanto fantasticare e sognare, Lancillotto «fece ciò di cui aveva piacere ed ebbe tutte le gioie che può avere un amante». È l' inizio di una stagione di incontri segreti, di notti trascorse l' uno nelle braccia dell' altra, di baci e di amplessi, travolti ambedue dallo stesso ardore. Ma il «mal d' amore» non sopporta limiti, prudenze, segretezze: esso si fa così impetuoso, da dimenticare ogni riserbo e condursi follemente tanto da rivelarsi agli occhi di tutti: gli sguardi carichi di desiderio, i toccamenti furtivi, lo scolorarsi dei volti diventano l' argomento di bisbigli e pettegolezzi di tutta la corte, tanto che un giorno Artù stesso se ne avvedrà e ordinerà che gliene sia svelata la ragione. I due amanti spiati, insidiati vengono sorpresi in un momento di intimità. Lancillotto si difenderà con le armi, ma la regina lo costringe a fuggire, sapendo di avere ormai solo in lui chi potrà salvarla. «Piangente, vestita di seta rossa, e sì bella e avvenente», Ginevra è condotta al rogo cui è stata condannata per fellonia e disonore del suo signore, dalla corte dei baroni di Artù, cui il re pur «sentendosi svenire» dà il suo beneplacito. 










Ma ecco Lancillotto seguito da uno stuolo di cavalieri, gettarsi come una fiera sui suoi stessi compagni della Tavola Rotonda facendone strage. Liberata Ginevra, i due amanti fuggono braccati e, preso il mare, si rifugiano nei dominii di Lancillotto nella piccola Bretagna. Alla testa di un esercito Artù passa il mare e assedia gli adulteri nella loro roccaforte. Ormai la ruota inesorabile della tragedia si è messa in moto. Quell' amore cortese cantato da trovatori e giullari, trasformatosi in passione senza freni ha travolto tutto l' ordine esistente: ha spazzato via le regole dell' onore e della lealtà, infranto i legami di sudditanza e di rispetto che tenevano saldo quel mondo, e non ci sarà più scampo per nessuno. Guerre, inganni, fellonie si susseguono a devastare la piccola e la grande Brettagna. Nella battaglia conclusiva a Salisbury, in un groviglio di corpi e di cavalli uccisi, cadono tutti i cavalieri che hanno popolato di gesta quel tempo eroico «Ah quante dame persero i loro baroni quel giorno, la polvere saliva fino al cielo che ne era oscurato». Ginevra, che su intercessione di Roma, è stata restituita al re, si ritira in un convento. Lo stesso farà più tardi, relegandosi in un eremo, Lancillotto. Da prode cavaliere, Artù muore delle sue ferite e, nonostante l' onta patita, darà un estremo riconoscimento al valore di Lancillotto indicandolo come il solo che avrebbe potuto ereditare Escalibur la sua fedele spada. L' omaggio all' amore, che pur ha scatenato tante sventure, verrà proprio da Lancillotto che prima di chiudere gli occhi, chiederà di essere sepolto accanto a Galeotto, il fedele amico, che, intercedendo per quel primo bacio, ha permesso ai trovieri del tempo a venire di cantare quell' amore fatale.









Un mondo di sogno da più di mille e cinquecento  anni

Un sovrano mitico celebrato da antiche cronache, poemi e romanzi Re Artù è un eroe semileggendario che animò la vittoriosa resistenza dei Celti della Cornovaglia contro la conquista anglosassone alla fine del V secolo e all' inizio del VI secolo. Questa mitica figura ha ispirato un insieme di poemi in ottonari e di romanzi in prosa. La prima fonte britannica che parla di Artù è un accenno del Gododin, testo del VI secolo dove appare come capo guerriero. Più tardi gli Annales de Cambrie del X secolo menzionano la vittoria di Artù a Mont-Badon del 516 e la battaglia di Cadmalann in cui Artù e Mordred si uccisero a vicenda (537). La materia assume poi tratti epici nell' Historia Brittonum, (cronaca in latino di Nennius X secolo). Da tali testi, oltre che dal Romanzo di Bruto dell' XI secolo di Robert Wace sul nipote di Enea, mitico avo dei Bretoni, il vescovo Goffredo di Monmouth trasse l' Historia dei Re di Britannia (1135): l' opera mischia storia e tradizioni, celtiche e cristiane, con l' intento di dotare i britanni di un eroe nazionale pari a Carlo Magno. 








Nell' Historia troviamo Merlino, Vortigern, Uther Pendragon, Ginevra, ma nessun accenno a Perceval, Lancillotto o al Graal, che entra nella saga solo nell' incompiuto poema di Chrétien de Troyes Perceval (1190) e nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach. In precedenza, gli eroi arturiani erano comparsi nei Lais di Marie de France (1167), poemetti amorosi e fantastici, e nei due Tristano di Béroul e di Thomas (1165- 70). Nei poemi di Chrétien, di Wolfram e di altri contemporanei il calice è un vaso sacro dotato di mistici poteri. Solo nel poema di Robert de Boron Le Roman de l' Estoire du Graal (1202) compare il Calice del sangue di Cristo custodito da Giuseppe. A Boron seguì la monumentale «summa» arturiana (Lancelot, La cerca del Graal, Morte di Artù) opera di più autori che, dalla metà del ' 200, ispirò poeti, musicisti, cineasti: dall' anonimo Sir Gawain e il cavaliere verde del 1360 alla Morte di Artù di sir Thomas Malory del 1485 fino alle opere di Wagner Lohengrin (1848), Tristano e Isotta (1865), Parsifal (1882). Epica epopea!
Fonte Corriere della sera