sabato 4 aprile 2015

ll bacio tra Lancillotto e Ginevra che travolse il regno del nobile Artù (2)






ll bacio tra Lancillotto e Ginevra che travolse il regno del nobile Artù  (2)


Così candido e inesperto nella tenzone d' amore giunge al giorno in cui, nel torneo di Galore, nel quale si giocano le sorti del regno, insidiato dalla temibile armata di Galeotto, tutto vestito di armi nere, circondato da un' aura di mistero, apparirà alla presenza del re e della regina, sul campo di battaglia, a infrangere scudi, spezzare lance, squarciare corazze e giachi d' acciaio, e volgere le sorti a favore di Artù. Catturata da tanta prodezza, Ginevra vuole conoscere quel cavaliere la cui fama ha già riempito le corti della cristianità. È il giorno fatale. 







Accompagnato da Galeotto che, conquistato dalla sua valentia, da nemico del re si è trasformato in vassallo, Lancillotto incontra Ginevra nel prato degli Arboscelli. È il momento tanto atteso: trepidanti i due amanti alla fine si riconoscono, ricordano quel primo fugace incontro, il tocco di quella mano, e dopo brevi schermaglie, si scambiano parole d' amore e di dedizione reciproca. «Mi amate dunque tanto?» «Signora, non amo me stesso né altri quanto amo voi». Ma perché quell' incontro abbia il suo naturale suggello sarà necessario l' intervento mediatore di Galeotto che conosce la timidezza dell' amico. È lui che suggerisce alla regina di prendere l' iniziativa. E allora Ginevra, trasportata da uno dei suoi irrefrenabili slanci, prende fra le mani il volto, che trascolora, del giovane cavaliere, e lo bacia sulla bocca appassionatamente. Quel bacio diventerà il punto di riferimento di tutta la poesia cortese, con cui menestrelli e trovatori allieteranno corti e castelli, e dal quale, per secoli, poeti trarranno ispirazione per i loro poemi. Fin quando sul desolato paesaggio della Mancia apparirà, seguita dal suo goffo scudiero, l' ombra allampanata del Cavaliere dalla Triste figura. 







Per lungo tempo quel bacio sarà il solo dono che Ginevra concede a Lancillotto, combattuta fra la fedeltà ad Artù e la passione che monta in lei e alla fine la travolge quando, dopo un' ultima impresa del cavaliere, lo invita nel suo alloggio per «curarlo delle sue ferite» e si concederà a lui, in una notte d' amore in cui alla fine dopo tanto fantasticare e sognare, Lancillotto «fece ciò di cui aveva piacere ed ebbe tutte le gioie che può avere un amante». È l' inizio di una stagione di incontri segreti, di notti trascorse l' uno nelle braccia dell' altra, di baci e di amplessi, travolti ambedue dallo stesso ardore. Ma il «mal d' amore» non sopporta limiti, prudenze, segretezze: esso si fa così impetuoso, da dimenticare ogni riserbo e condursi follemente tanto da rivelarsi agli occhi di tutti: gli sguardi carichi di desiderio, i toccamenti furtivi, lo scolorarsi dei volti diventano l' argomento di bisbigli e pettegolezzi di tutta la corte, tanto che un giorno Artù stesso se ne avvedrà e ordinerà che gliene sia svelata la ragione. I due amanti spiati, insidiati vengono sorpresi in un momento di intimità. Lancillotto si difenderà con le armi, ma la regina lo costringe a fuggire, sapendo di avere ormai solo in lui chi potrà salvarla. «Piangente, vestita di seta rossa, e sì bella e avvenente», Ginevra è condotta al rogo cui è stata condannata per fellonia e disonore del suo signore, dalla corte dei baroni di Artù, cui il re pur «sentendosi svenire» dà il suo beneplacito. 










Ma ecco Lancillotto seguito da uno stuolo di cavalieri, gettarsi come una fiera sui suoi stessi compagni della Tavola Rotonda facendone strage. Liberata Ginevra, i due amanti fuggono braccati e, preso il mare, si rifugiano nei dominii di Lancillotto nella piccola Bretagna. Alla testa di un esercito Artù passa il mare e assedia gli adulteri nella loro roccaforte. Ormai la ruota inesorabile della tragedia si è messa in moto. Quell' amore cortese cantato da trovatori e giullari, trasformatosi in passione senza freni ha travolto tutto l' ordine esistente: ha spazzato via le regole dell' onore e della lealtà, infranto i legami di sudditanza e di rispetto che tenevano saldo quel mondo, e non ci sarà più scampo per nessuno. Guerre, inganni, fellonie si susseguono a devastare la piccola e la grande Brettagna. Nella battaglia conclusiva a Salisbury, in un groviglio di corpi e di cavalli uccisi, cadono tutti i cavalieri che hanno popolato di gesta quel tempo eroico «Ah quante dame persero i loro baroni quel giorno, la polvere saliva fino al cielo che ne era oscurato». Ginevra, che su intercessione di Roma, è stata restituita al re, si ritira in un convento. Lo stesso farà più tardi, relegandosi in un eremo, Lancillotto. Da prode cavaliere, Artù muore delle sue ferite e, nonostante l' onta patita, darà un estremo riconoscimento al valore di Lancillotto indicandolo come il solo che avrebbe potuto ereditare Escalibur la sua fedele spada. L' omaggio all' amore, che pur ha scatenato tante sventure, verrà proprio da Lancillotto che prima di chiudere gli occhi, chiederà di essere sepolto accanto a Galeotto, il fedele amico, che, intercedendo per quel primo bacio, ha permesso ai trovieri del tempo a venire di cantare quell' amore fatale.









Un mondo di sogno da più di mille e cinquecento  anni

Un sovrano mitico celebrato da antiche cronache, poemi e romanzi Re Artù è un eroe semileggendario che animò la vittoriosa resistenza dei Celti della Cornovaglia contro la conquista anglosassone alla fine del V secolo e all' inizio del VI secolo. Questa mitica figura ha ispirato un insieme di poemi in ottonari e di romanzi in prosa. La prima fonte britannica che parla di Artù è un accenno del Gododin, testo del VI secolo dove appare come capo guerriero. Più tardi gli Annales de Cambrie del X secolo menzionano la vittoria di Artù a Mont-Badon del 516 e la battaglia di Cadmalann in cui Artù e Mordred si uccisero a vicenda (537). La materia assume poi tratti epici nell' Historia Brittonum, (cronaca in latino di Nennius X secolo). Da tali testi, oltre che dal Romanzo di Bruto dell' XI secolo di Robert Wace sul nipote di Enea, mitico avo dei Bretoni, il vescovo Goffredo di Monmouth trasse l' Historia dei Re di Britannia (1135): l' opera mischia storia e tradizioni, celtiche e cristiane, con l' intento di dotare i britanni di un eroe nazionale pari a Carlo Magno. 








Nell' Historia troviamo Merlino, Vortigern, Uther Pendragon, Ginevra, ma nessun accenno a Perceval, Lancillotto o al Graal, che entra nella saga solo nell' incompiuto poema di Chrétien de Troyes Perceval (1190) e nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach. In precedenza, gli eroi arturiani erano comparsi nei Lais di Marie de France (1167), poemetti amorosi e fantastici, e nei due Tristano di Béroul e di Thomas (1165- 70). Nei poemi di Chrétien, di Wolfram e di altri contemporanei il calice è un vaso sacro dotato di mistici poteri. Solo nel poema di Robert de Boron Le Roman de l' Estoire du Graal (1202) compare il Calice del sangue di Cristo custodito da Giuseppe. A Boron seguì la monumentale «summa» arturiana (Lancelot, La cerca del Graal, Morte di Artù) opera di più autori che, dalla metà del ' 200, ispirò poeti, musicisti, cineasti: dall' anonimo Sir Gawain e il cavaliere verde del 1360 alla Morte di Artù di sir Thomas Malory del 1485 fino alle opere di Wagner Lohengrin (1848), Tristano e Isotta (1865), Parsifal (1882). Epica epopea!
Fonte Corriere della sera






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