ll bacio tra Lancillotto e Ginevra che
travolse il regno del nobile Artù (2)
Così
candido e inesperto nella tenzone d' amore giunge al giorno in cui, nel torneo
di Galore, nel quale si giocano le sorti del regno, insidiato dalla temibile armata di Galeotto, tutto vestito di armi nere,
circondato da un' aura di mistero, apparirà alla presenza del re e della
regina, sul campo di battaglia, a infrangere scudi, spezzare lance, squarciare
corazze e giachi d' acciaio, e volgere le sorti a favore di Artù. Catturata da
tanta prodezza, Ginevra vuole conoscere quel cavaliere la cui fama ha già
riempito le corti della cristianità. È il giorno fatale.
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Accompagnato da
Galeotto che, conquistato dalla sua valentia, da nemico del re si è trasformato
in vassallo, Lancillotto incontra Ginevra nel prato degli Arboscelli. È il momento tanto atteso: trepidanti i due amanti alla
fine si riconoscono, ricordano quel primo fugace incontro, il tocco di quella
mano, e dopo brevi schermaglie, si scambiano parole d' amore e di dedizione
reciproca. «Mi amate dunque tanto?» «Signora, non amo me stesso né altri quanto amo voi». Ma perché quell' incontro abbia il suo naturale suggello
sarà necessario l' intervento mediatore di Galeotto che
conosce la timidezza dell' amico. È lui che suggerisce alla regina
di prendere l' iniziativa. E allora Ginevra, trasportata da uno dei suoi
irrefrenabili slanci, prende fra le mani il volto, che trascolora, del giovane
cavaliere, e lo bacia sulla bocca appassionatamente. Quel bacio diventerà il punto di riferimento di tutta la
poesia cortese, con cui menestrelli e trovatori allieteranno corti e castelli,
e dal quale, per secoli, poeti trarranno ispirazione per i loro poemi. Fin
quando sul desolato paesaggio della Mancia apparirà, seguita dal suo goffo
scudiero, l' ombra allampanata del Cavaliere dalla Triste figura.
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Per lungo
tempo quel bacio sarà il solo dono che Ginevra concede a Lancillotto, combattuta fra la fedeltà ad Artù e la passione che monta in lei
e alla fine la travolge quando, dopo un' ultima impresa del cavaliere, lo invita nel suo
alloggio per «curarlo delle sue ferite» e si concederà a lui, in una notte d'
amore in cui alla fine dopo tanto fantasticare e sognare, Lancillotto «fece ciò
di cui aveva piacere ed ebbe tutte le gioie che può avere un amante». È l' inizio di una stagione di incontri segreti, di
notti trascorse l' uno nelle braccia dell' altra, di baci e di amplessi,
travolti ambedue dallo stesso ardore. Ma il «mal d' amore» non
sopporta limiti, prudenze, segretezze: esso si fa così impetuoso, da
dimenticare ogni riserbo e condursi follemente tanto da rivelarsi agli occhi di
tutti: gli sguardi carichi di desiderio, i toccamenti furtivi, lo scolorarsi dei
volti diventano l' argomento di bisbigli e
pettegolezzi di tutta la corte, tanto che un giorno Artù stesso se ne avvedrà e
ordinerà che gliene sia svelata la ragione. I due amanti spiati, insidiati
vengono sorpresi in un momento di intimità. Lancillotto si difenderà con le
armi, ma la regina lo costringe a fuggire, sapendo di avere ormai solo in lui
chi potrà salvarla. «Piangente, vestita di seta rossa, e sì bella e
avvenente», Ginevra è condotta al rogo cui è
stata condannata per fellonia e disonore del suo signore, dalla corte dei
baroni di Artù, cui il re pur «sentendosi svenire» dà il suo beneplacito.
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Ma
ecco Lancillotto seguito da uno stuolo di cavalieri, gettarsi come una fiera
sui suoi stessi compagni della Tavola Rotonda facendone strage. Liberata
Ginevra, i due amanti fuggono braccati e, preso il mare, si rifugiano nei dominii di Lancillotto nella piccola Bretagna. Alla testa di
un esercito Artù passa il mare e assedia gli adulteri nella loro roccaforte.
Ormai la ruota inesorabile della tragedia si è messa in moto. Quell' amore
cortese cantato da trovatori e giullari, trasformatosi in passione senza freni ha travolto tutto
l' ordine esistente: ha spazzato via le regole dell' onore e
della lealtà, infranto i legami di sudditanza e di rispetto che tenevano saldo
quel mondo, e non ci sarà più scampo per nessuno. Guerre, inganni, fellonie si
susseguono a devastare la piccola e la grande Brettagna. Nella battaglia
conclusiva a Salisbury, in un groviglio di corpi e di cavalli uccisi, cadono
tutti i cavalieri che hanno popolato di gesta quel tempo eroico «Ah quante dame
persero i loro baroni quel giorno, la polvere saliva fino al cielo che ne era
oscurato». Ginevra, che su intercessione di Roma, è stata restituita
al re, si ritira in un convento. Lo stesso farà più tardi, relegandosi in un
eremo, Lancillotto. Da prode cavaliere, Artù muore delle
sue ferite e, nonostante l' onta patita, darà un
estremo riconoscimento al valore di Lancillotto indicandolo come il solo che
avrebbe potuto ereditare Escalibur la sua fedele spada.
L' omaggio all' amore, che pur ha scatenato tante sventure, verrà proprio da
Lancillotto che prima di chiudere gli occhi, chiederà di essere sepolto accanto
a Galeotto, il fedele amico, che, intercedendo per quel primo bacio, ha
permesso ai trovieri del tempo a venire di cantare quell' amore fatale.
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Un mondo di sogno da più di mille e
cinquecento anni
Un
sovrano mitico celebrato da antiche cronache, poemi e romanzi Re Artù è un eroe
semileggendario che animò la vittoriosa resistenza dei Celti della Cornovaglia contro la conquista anglosassone alla fine del V secolo e all' inizio
del VI secolo. Questa mitica figura ha ispirato un insieme di poemi
in ottonari e di romanzi in prosa. La prima fonte britannica che parla di Artù
è un accenno del Gododin, testo del VI secolo dove appare come capo guerriero.
Più tardi gli Annales de Cambrie del X secolo menzionano la vittoria di Artù a
Mont-Badon del 516 e la battaglia di Cadmalann in cui Artù e Mordred si
uccisero a vicenda (537). La materia assume poi tratti epici nell' Historia
Brittonum, (cronaca in latino di Nennius X secolo). Da tali testi, oltre che
dal Romanzo di Bruto dell' XI secolo di Robert Wace sul nipote di Enea, mitico
avo dei Bretoni, il vescovo Goffredo di Monmouth trasse l' Historia dei Re di
Britannia (1135): l' opera mischia storia e tradizioni, celtiche e cristiane,
con l' intento di dotare i britanni di un eroe nazionale pari a Carlo Magno.
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Nell' Historia troviamo Merlino, Vortigern, Uther Pendragon, Ginevra, ma nessun
accenno a Perceval, Lancillotto o al Graal, che entra nella saga solo nell'
incompiuto poema di Chrétien de Troyes
Perceval (1190) e nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach. In precedenza, gli
eroi arturiani erano comparsi nei Lais di Marie de France (1167), poemetti
amorosi e fantastici, e nei due Tristano di Béroul e di Thomas (1165- 70). Nei
poemi di Chrétien, di Wolfram e di altri contemporanei il calice è un vaso
sacro dotato di mistici poteri. Solo nel poema di Robert de Boron Le Roman de
l' Estoire du Graal (1202) compare il Calice del sangue di Cristo custodito da
Giuseppe. A Boron seguì la monumentale «summa» arturiana (Lancelot, La cerca
del Graal, Morte di Artù) opera di più autori che, dalla metà del ' 200, ispirò
poeti, musicisti, cineasti: dall' anonimo Sir Gawain e il cavaliere verde del
1360 alla Morte di Artù di sir Thomas Malory del 1485 fino alle opere di Wagner
Lohengrin (1848), Tristano e Isotta (1865), Parsifal (1882). Epica epopea!
Fonte
Corriere della sera
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